
Sportello di consulenza gratuita operatori sanitari covid-19
L’emergenza che stiamo vivendo sollecita tutti ed in modo particolare chi quotidianamente lavora in contesti sanitari. Lavorare a stretto contatto con la sofferenza altrui in una condizione generale di allarme, costretti ad ore continuative di lavoro e lontano dai propri cari può generare stress, irrequietezza, sintomi somatici, sensazione di impotenza nel fronteggiare la situazione.
Il Centro di Psicologia tEssere offre al personale sanitario un servizio gratuito di consulenza on-line. La possibilità di avere uno spazio in cui anche solo portare il proprio vissuto permette di fronteggiare meglio le richieste che la situazione pone.
Per richiedere una consulenza contattaci e valuteremo insieme qual è la proposta più adatta a te!
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Servizio consulenze on-line Skype
Ti piacerebbe iniziare una psicoterapia ma, per diversi motivi, non riesci a recarti fisicamente da uno psicologo?
In alcune situazioni l’impossibilità di raggiungere fisicamente uno studio di psicoterapia può essere un deterrente rispetto al bisogno di intraprendere un percorso. Ad oggi l’avanzamento tecnologico aiuta molto e apre un ventaglio di nuove possibilità, consentendo così di raggiungere una fascia di popolazione che, per diverse motivazioni, ha difficoltà di spostamento.
Svolgere un percorso psicoterapeutico online è attualmente possibile e anche utile, in piena conformità con le indicazioni del Consiglio Nazionale Ordine degli Psicologi.
I professionisti del Centro di psicologia tEssere offrono un servizio di consulenza psicologica on-line.
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Fuorisede: in equilibrio continuo tra perdite e nuove conquiste
Il termine “fuorisede” può richiamare alla mente tematiche diverse: quella del viaggio, dell’alternarsi tra due città per mantenere le proprie origini ed investire sul proprio futuro; quella della libertà e della miriade di nuove opportunità a disposizione; quella del caos e dello smarrimento dato dal trovarsi catapultati in un posto nuovo con nuove regole e richieste; quella della responsabilità che improvvisamente si è costretti ad assumersi per far fronte agli obblighi del percorso di studi e della vita quotidiana; quella della ricerca di sé, frutto delle sfide quotidiane che questo cambiamento impone e dal confronto con i propri limiti e possibilità.
Trasferirsi in una nuova città per intraprendere un percorso di studi, è una scelta complessa, che porta con sé, in misura diversa per ciascuno, tutti questi aspetti e forse anche altri. Si tratta di una decisione importante, dettata dalla mancanza nel proprio paese, di possibilità adeguate a soddisfare i propri desideri, o dalla costatazione che sia l’unica reale alternativa per costruirsi un futuro o dalla necessità di allontanarsi da casa, dagli obblighi e dalle pressioni del proprio contesto di appartenenza, per sentirsi liberi di vivere la propria vita.
Al di là di quale motivazione ci sia alla base, diventare studente fuorisede implica una serie di cambiamenti, sia interni che esterni, che rendono questa condizione molto delicata.
Scegliere di cambiare città comporta dunque il doversi confrontare con temi importanti, come la separazione dai familiari e dagli amici, la realizzazione di sé, lo sviluppo di una propria indipendenza e, la sua contro parte, la capacità di affrontare il senso di solitudine. Il trasferimento, anche quando, nel migliore dei casi, è sostenuto dalle persone care e da una forte motivazione, viene affrontato con vissuti contrastanti che possono essere ricondotti al “dolore della perdita di ciò che si lascia e la speranza-fiducia di ciò che si acquista” (Scabini, Cigoli, 2000). Molto spesso si lascia prevalere uno dei due aspetti, dedicando tutte le energie nella costruzione della nuova vita o dando spazio esclusivamente ai sentimenti legati al distacco. Si tratta di due comportamenti che escludono vicendevolmente il passato o il futuro e che possono, in modo diverso, comportare dei disagi.
Un rischio a cui molte volte si va incontro, è quello di facilitare la separazione negando l’intensità del legame con le proprie radici, cambiando bruscamente la qualità della relazione con le persone di riferimento, procurando così, una frattura nei processi di appartenenza al nucleo familiare. La distanza fisica può, dunque, affiancarsi ad un allontanamento interiore, che spesso si realizza fingendo, a se stessi e agli altri, una completa autonomia nell’affrontare e gestire al meglio ogni situazione, senza aver bisogno di nessuno. In realtà questo atteggiamento nasconde una profonda fragilità che può venir fuori in forme diverse.
Meno celata, invece, la sofferenza di chi vive il trasferimento nel solo aspetto del distacco. I sentimenti suscitati dalla perdita della “vita precedente” non permettono di intravedere quanto si possa ricevere dall’esperienza che si sta vivendo nel presente.
La mancanza dei propri affetti può minare la capacità di ricostruirsi una quotidianità senza la presenza dei propri punti fermi. Inoltre può essere difficile apportare dei cambiamenti a livello personale per rispondere alle richieste di questo fase di vita. Potrebbe essere necessario assumersi delle responsabilità che fino a quel momento erano viste come lontane e la capacità di essere autonomi, di “riuscire a farcela da soli”, dovrebbe subire un rapido sviluppo. Affrettare i tempi dei consueti passaggi evolutivi può, però, non essere una scelta possibile in quel momento perché percepita come prematura. Tutto ciò rende faticoso l’inserimento nel nuovo contesto e le richieste dettate dal trasferimento possono essere vissute come troppo difficili. Gli ostacoli incontrati, talvolta, comportano la messa in discussione della scelta fatta ed anche delle proprie capacità.
Gli studenti si trovano, quindi, a vivere un momento molto complesso della propria vita, in cui è indispensabile riuscire a tenere insieme passato, presente e futuro.
Dare spazio ai propri vissuti, può facilitare il processo di adattamento alla nuova realtà. In particolare potrebbe essere utile esplorare le proprie paure ed i propri conflitti per affrontare il cambiamento con maggiore consapevolezza. Anche cercare di mantenere una continuità tra le esperienze passate e quelle attuali può aiutare a concentrarsi meno sulle differenze e maggiormente sui propri desideri ed i propri bisogni. Ad esempio può essere utile continuare ad alimentare le proprie passioni o conservare alcune abitudini personali.
Si tratta sicuramente di un momento molto delicato, in cui desideri e paure si alternano costantemente. Averli chiari e saperli distinguere, può aiutare a vivere il cambiamento non come una minaccia ma come un’occasione di crescita, in cui poter scoprire risorse personali e nuovi bisogni.
Bibliografia
Scabini E., Cigoli V. (2000). Il famigliare. Legami, simboli e transizioni. Milano: Raffaello Cortina.
Bowen M. (1979). Dalla famiglia all’individuo. Roma: Astrolabio.

Vado di fretta, non ho più tempo datemi retta…
Diceva Aristotele “Lo scopo del lavoro è quello di guadagnarsi del tempo libero” ma quando vivi la città capita di ascoltare commenti del tipo: “Oggi tutto di corsa!”, “Sono stanchissimo!”, “Sono sommerso dal lavoro!” ed anche “Ci vorrebbero giornate di 48 ore per fare tutto ciò che bisogna fare!”. La routine e gli impegni ci invitano ad inserire, uno dietro l’altro, impegni ed appuntamenti. Le agende ce lo ricordano ed anche se vogliamo incontrare il nostro partner, partecipare ad una riunione scuola-genitori o anche andare da soli al cinema bisogna spesso consultare colei che è la nostra segretaria cartacea o virtuale, che ci ricorderà “Oggi ed a quell’ora, probabilmente, non puoi!”. Ed ecco che la mente si arrovella su come poter riuscire ad inserire quell’ennesimo appuntamento, cascato lì tra capo e collo e che non avevamo preso in considerazione e tenuto sotto controllo, con il rischio di scombinarci i piani di un’ennesima organizzazione giornaliera e lavorativa.
Essere un lavoratore oggi, in una società che richiede livelli alti di performance e di obiettivida raggiungere, può essere complesso. Alle volte capita di dover essere produttivi anche fuori dal convenzionale orario di lavoro, magari durante la notte, il weekend o durante le pause.
Ma cosa ci spinge ad essere così performanti? A definire obiettivi, uno dietro l’altro, da raggiungere? Cosa ci spinge ad impiegare anche il nostro tempo libero al lavoro?
Del bisogno incontrollabile di lavorare incessantemente ne parlava, già nel 1971 un medico e psicologo statunitense, W. E.Oates. Ed oggi, tale bisogno incontrollabile, rientra nel novero delle New Addiction ovvero in tutte quelle che vengono definite le nuove dipendenze. Tale bisogno si differenzia, però, proprio per il fatto che non si ricorre ad un agente esterno, come ad esempio l’uso di sostanze, per ottenere un immediato appagamento, ma invece ad un’attività che fa parte della vita quotidiana di una persona, finalizzata in questo caso ad una remunerazione. Tale bisogno incontrollabile è conosciuto come Workaholism e significa letteralmente “ubriaco di lavoro”. Robinson (1998) la definisce anche come la “dipendenza ben vestita” proprio per il suo carattere pervasivo ma non riconosciuto dalla società.
Ma quindi si può dire che il bisogno di lavorare incessantemente, utilizzando gran parte del nostro tempo libero, rappresenti una dipendenza?
In alcuni casi, sembrerebbe che, la vita intera sia centrata sul lavoro con conseguente e pesante riduzione del tempo libero da dedicare ad altro. Alla fine il tempo libero viene completamente assorbito dal lavoro e le pause, il divertimento, l’affetto e interesse vanno via via scemando. Il lavoro diventerebbe, come scrivono Lavanco & Milio (2006), uno stato d’animo, una via di fuga che libera il soggetto dall’esperire emozioni, responsabilità, intimità nei confronti degli altri. E l’elemento della vita che generalmente si altera più precocemente, a causa della dipendenza da lavoro, è il contesto familiare. Arrivando a percepire il coniuge come un estraneo tanto da conseguirne un serio deterioramento della sfera affettiva che indurrebbe aridità, apatia, cinismo e indifferenza tra i coniugi. Il lavoro ha, quindi, un effetto anestetizzante sulla sfera emotiva tanto da indurre una sensazione di distacco e di insensibilità. La sofferenza della famiglia è connessa a un sentimento di trascuratezza, solitudine, abbandono e le proteste dichiarate vengono vissute dal dipendente da lavoro come segno di rifiuto e ingratitudine.
Il fenomeno del Workaholism rappresenterebbe un caso al limite ma nella vita di tutti i giorni noi come percepiamo il nostro lavoro, quali significati gli attribuiamo e come influisce nella gestione del nostro tempo libero e/o familiare?
La fretta, l’imprevisto, il controllo, la riorganizzazione son tutti aspetti con i quali bisogna far i conti nella gestione della nostra giornata e mi vengono alla mente alcune frasi:
“…corro veloce per fare in modo che neanche l’imprevisto mi raggiunga!;
“Ho bisogno di sapere già da prima come sarà altrimenti non mi sento tranquilla”;
“Quando le cose son diverse da come me le ero immaginate mi confondo”.
Ma che effetto ci fa tutto questo? Come reagiamo al bisogno di tenere sotto controllo e di gestire anche l’improvviso imprevisto a valle degli impegni lavorativi e familiari?
Quali confini decidiamo di definire tra quella che rappresenterebbe la nostra vita pubblica e quella privata ed anche come si uniscono questi due aspetti?
In fine quale pensiero possiamo fare circa questa modalità di gestire gli eventi del quotidiano? È una modalità che ci fa sentire “comodi”con noi stessi? Ci fa stare bene oppure desideriamo altro?
Orsola Monteleone
Bibliografia:
- Lavanco, G., & Milio, A. (2006). Psicologia della dipendenza dal lavoro. Roma: Astrolabio Ubaldini.
- Oates, W.E. (1971). Confessions of a workaholics: The factsabout work addiction. New York: World.
- Robinson, B.E. (1998). Chained to the desk: A guidebook for workaholics, their parents and children, and the clinicians who treat them. New York: New York University Press.

Sostegno alla Genitorialità
La genitorialità può essere considerata come uno “spazio”, tanto interno quindi “intrapsichico”, quanto “esterno”, relazionale, nel quale entrano in scena una moltitudine di fattori. Alcuni di essi sono “storici”, hanno a che fare con il percorso di vita dei genitori, con il modello di accudimento che ognuno di loro, nella propria famiglia di origine, ha interiorizzato. Altri sono invece “attuali”, legati al momento che ci si trova a vivere, alle situazioni contingenti, spesso mutevoli.
La famiglia è infatti un sistema in costante trasformazione e il concetto stesso di cambiamento ne accompagna il corso. Alcune volte si ha a che fare con delle modificazioni prevedibili, legate alla crescita e alle diverse fasi del ciclo vitale che il nucleo si trova ad affrontare; ne sono un esempio la nascita di un figlio, l’adolescenza, la gestione dei rapporti con contesti extra familiari, come la scuola etc.; insomma, la naturale ristrutturazione dei legami familiari legata allo sviluppo.
Altre volte invece può capitare di avere a che fare con situazioni non prevedibili, inattese, come ad esempio malattie, lutti, separazioni o divorzi.
Perché attivare un percorso di Sostegno alla Genitorialità?
Il rapporto tra i genitori e il figlio, è il contesto principale nel quale si esplica la crescita e lo sviluppo bel bambino, un importante fattore protettivo rispetto alle situazioni avverse e complesse che può capitare di dover affrontare. Non sempre è facile per un genitore, o per una coppia genitoriale, gestire la complessità emotiva, relazionale, comunicativa e comportamentale che caratterizza il rapporto con i proprio figli. Può capitare di trovarsi in impasse, di percepire una dimensione di crisi, di dubbio, di impotenza e di inefficacia personale.
Il percorso di Sostegno alla Genitorialità è un intervento psicologico di accompagnamento per gli adulti che, per motivi diversi, possono vivere delle difficoltà nello svolgimento del proprio ruolo genitoriale. L’obiettivo è quello di supportare i genitori nell’espletamento della loro funzione, di accrescere la consapevolezza dell’importanza del ruolo stesso e di pensare insieme strategie relazionali ed educative maggiormente efficaci, volte ad agevolare una migliore comprensione del figlio, dei suoi comportamenti, dei suoi bisogni e dei suoi vissuti emotivi. È inoltre uno spazio di riflessione su se stessi (nel ruolo di genitore), sui propri vissuti legati alla relazione stessa, e sulle scelte comportamentali ed educative adottate, al fine di attivare le risorse personali e le competenze necessarie a superare il momento di sofferenza o difficoltà.
Il percorso di sostegno alla Genitorialità si articola in una serie di incontri, generalmente quindicinali.
“La mano che fa dondolare una culla è la mano che regge il mondo” – W.R. Wallace
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Cos’è il Mutismo Selettivo?
Cos’è il Mutismo Selettivo?
Si tratta di un disturbo che pur avendo un’ampia diffusione rischia di essere facilmente confuso con aspetti legati alla timidezza o a particolari stili caratteriali.
Di contro, l’aspetto che lo caratterizza è una considerevole componente ansiosa tanto da essere stato inserito, recentemente, dal Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM), nella categoria diagnostica dei Disturbi d’ansia. Tali bambini/ragazzi non presentano, dunque, disfunzioni organiche o un’incapacità correlata allo sviluppo, ma il loro silenzio si configura come un atteggiamento di risposta ad un forte stato emotivo legato all’ansia.
La caratteristica principale del disturbo è legata all’incapacità di parlare in alcuni contesti sociali. Spesso si presenta in “contesti tipo”, che “attivano” quella determinata modalità di risposta: ad esempio l’asilo, la scuola o la presenza di estranei. Di contro, i bambini muto selettivi, presentano una buona loquacità in casa e con persone di fiducia; aspetto quest’ultimo che se da una parte può apparentemente tranquillizzare il genitore, dall’altra può contribuire a creare confusione rispetto alla problematicità del disturbo.
Il trattamento del Mutismo Selettivo prevede un approccio “Multisituazionale”, che comporta un lavoro con il bambino/ragazzo e la famiglia ed inoltre l’attivazione di una rete tra professionisti del settore clinico (Psicologi, Psicoterapeuti; Neuropsichiatri infantili), la scuola o gli altri contesti di riferimento.