
Oroscopo per il nuovo anno… e se lo scrivessimo noi?
Inizia l’anno ed iniziano a fiorire oroscopi. Un pubblico ben assortito, che va dai cultori della materia fino a chi ne è occasionalmente attratto, si ritrova ad ascoltare ed osservare le proiezioni annuali del proprio segno per avere qualche anticipazione sul futuro.
La validità e l’attendibilità delle previsioni astrologiche sono continuamente messe in discussione dalle evidenze scientifiche, ciò nonostante la schiera di fruitori non diminuisce. Come è possibile? La spiegazione di questo fenomeno sta forse nella curiosità di molte persone di sapere cosa ci aspetta nell’anno che sta per iniziare, per potersi fare delle aspettative verosimili e partire con un equipaggiamento adeguato.
Lasciando da parte le considerazioni sulla veridicità delle predizioni, mi piacerebbe mettere in evidenza alcuni dei bisogni personali a cui la lettura dell’oroscopo risponde in modo da conoscerli e capire se possono essere soddisfatti anche in altri modi.
Un aspetto basilare che troviamo in tutti gli oroscopi è l’utilizzo di un linguaggio positivo e propositivo, che metta in risalto le buone caratteristiche personali e inquadri diversamente quelle meno buone. È così che, ad esempio, la rigidità nell’affrontare una situazione viene ridefinita come tenacia, l’indecisione come capacità riflessiva e così via. Tutto ciò ha l’effetto di farci sentire più forti e sicuri, di infonderci una maggiore fiducia nelle nostre capacità di riuscire ad affrontare determinate circostanze.
Perché non utilizzare questo accorgimento anche nella quotidianità?
Potremmo provare a soddisfare l’esigenza di sentirci riconosciuti e sostenuti partendo da noi stessi, ovvero dal fare una valutazione delle nostre caratteristiche personali senza demolirsi, ammorbidendo il giudizio su noi stessi e scegliendo deliberatamente di sottolineare i nostri aspetti positivi.
La genericità della affermazioni è un altro elemento ricorrente nell’oroscopo: l’utilizzo di affermazioni generiche consente a ciascuno di riferirle ad un aspetto specifico della propria vita e di far sì che una frase vaga venga immediatamente riempita di significati personali. È ciò che avviene, ad esempio, quando le parole “un successo inaspettato” vengono interpretate da un innamorato non ricambiato o da uno studente provato dagli esami universitari: nel prima caso potrebbero essere tradotte con “la tanto auspicata risoluzione delle mie pene amorose”, nel secondo come “una svolta nella carriera”.
In questo elemento gioca un ruolo fondamentale la percezione personale, ovvero il fare in modo di trovare nelle previsioni proprio quello che si stava cercando.
Chi non vorrebbe trovare delle risposte a delle domande irrisolte?
Cambiando il punto di vista potremmo scorgere tra le righe di quanto appena descritto una risorsa personale da poter mettere in campo, cioè la capacità di individuare i nostri bisogni più urgenti, di riuscire a capire, nel momento che si sta vivendo, quali sono le nostre priorità. In altre parole potremmo dirci capaci di formulare dei desideri. Anche questa è un’ottima risorsa ed un elemento essenziale per fare ipotesi e previsioni per il proprio futuro.
In conclusione, queste brevi riflessioni, possono servirci per fare dei pronostici su noi stessi: potremmo iniziare l’anno percependoci diversamente, valutandoci in chiave positiva, lasciando spazio ai desideri, ai bisogni ed alle nostre aspirazioni.
Sembrano buone previsioni per il futuro, no?
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Buon Abitare: equilibrio di spazi. Intervista a Laura Di Stefano
“Qui è ieri, è ora, è sempre. E’ la storia di un luogo e di ciò che vi è accaduto nel corso di centinaia di migliaia di anni (…)”
– Qui – Richard Mcguire
“Sentirsi a casa” è un’espressione molto comune, utilizzata per definire una situazione in cui ci si sente comodi, perfettamente a proprio agio.
Proviamo a rifletterci su. A cosa fa riferimento questo modo di dire?
All’avere un posto che ci racconta? Che ci contiene? Che ci ospita? Un luogo in cui troviamo tutto ciò di cui abbiamo bisogno?
Lo spazio che abitiamo ci rappresenta, parla di noi, è il luogo in cui manifestiamo degli aspetti del nostro essere ecc..
Vi è certamente una relazione di reciprocità tra l’ambiente e l’individuo: il luogo fisico in cui si è immersi modifica e risuona nell’essere umano, così come l’essere umano co-costruisce e determina il proprio ambiente. La modalità in cui questa “relazione” si articola, può avere differenti esiti nell’individuo, in termini di una maggiore o minore sensazione di benessere personale.
In quale modo l’Architetto, nello svolgimento della sua professione, riesce a coniugare e a tenere insieme le caratteristiche fisiche dello spazio, con gli aspetti interni e i bisogni del singolo individuo?
Ne abbiamo parlato con l’Architetto Laura Di Stefano, che nella sua professione si occupa di Consulenza e Progettazione degli Spazi per un Habitat in Equilbrio, e lo fa proprio partendo dall’individuo e dalle sue abitudini e caratteristiche, provando ad integrare e tenere insieme bisogno di trasformazione con quello di stabilità e conservazione, per giungere alla co-costruzione di uno spazio funzionale ed in linea con i propri bisogni: “cambiare le cose iniziando dalle case” RI.SPAZIO.
Per saperne di più, clicca su rispazio.wordpress.com
In cosa consiste il tuo lavoro e come è nata questa idea?
L’idea di RI.SPAZIO è cresciuta e si è definita grazie ai miei stessi clienti: lavorare per progettare un habitat “su misura” mi ha portato ad andare oltre la forma dello spazio per poter individuare quali sono le esigenze profonde da cui nasce il desiderio di trasformazione. Ogni persona è diversa ed ha quindi delle istanze uniche, legate allo stile di vita, alle funzioni che la casa deve poter accogliere ma anche profondamente connesse al senso di CASA, a cosa rappresenta metaforicamente, a quali sono i significati quasi ancestrali che ognuno ricerca nello spazio domestico.
Il percorso necessario per far emergere una Visione del proprio spazio è quindi principalmente basato sull’ascolto, che è guidato da me per individuare tanto i desideri ideali quanto le esigenze pratiche legate al quotidiano, indagando le contraddizioni tra un’immagine -a volte preconcetta- e la propria realtà di vita, nel qui ed ora.
Cosa ti piace del tuo lavoro e quali difficoltà percepisci?
Del mio lavoro sopra ogni cosa mi entusiasma la possibilità di creare una vera e propria relazione di aiuto: chi si rivolge a me è consapevole che la mia offerta non sarà esclusivamente tecnico-progettuale. I miei clienti arrivano pronti per affrontare un percorso che li vede coinvolti ed attivi perché cercano un cambiamento profondo che nella casa, anzi, attraverso la casa possa aiutarli a trasformare abitudini che ritengono malsane o che non vogliono più perpetrare e desiderano trovare armonia ed accoglienza nel proprio habitat domestico.
Per quanto però ognuno si ritenga pronto ad affrontare il cambiamento si ritrova poi a dover intraprendere un percorso faticoso ed, a volte, stravolgente; la maggior parte delle volte la difficoltà più grande sta nel passare dal teorico al pratico: le intenzioni sono le migliori ma quando è necessario trovare un tempo “in più” per svolgere determinati compiti (che io assegno!) ci si ritrova immediatamente a dover cambiare le proprie abitudini. In qualche modo la mia richiesta è quella di iniziare a dedicare del tempo a se stessi attraverso gli spazi di casa e prendere contatto profondo soprattutto con le zone disfunzionali -le “zone oscure”.
E’ un impegno e richiede un tempo che va trovato rinunciando ad altro; spesso i miei clienti fanno resistenza dicendomi che “non hanno tempo”: il modo in cui cerco di far superare questa che spesso è una difesa è sottolineare che la scelta del cambiamento è già stata fatta per un’esigenza urgente e per poter arrivare alla meta è necessario dedicarsi del tempo, diverso e nuovo, per innescare un meccanismo virtuoso.
Cosa significa per te abitare uno spazio?
Su questa domanda si potrebbe dialogare per giorni, viste le molteplici interpretazioni che si possono dare alla parola “abitare”. Il significato che però più corrisponde al mio approccio professionale e progettuale è l’abitare in quanto essere presenti in un luogo consapevolmente, con la capacità di vederlo -e non solo guardarlo-, viverlo -e non solo “usarlo”. Aggiungo che abitare in modo sano significa vivere in armonia ed equilibrio tra luogo, corpo, mente ed emozioni: questo è il motivo per cui per me è imprescindibile nella progettazione di uno spazio architettonico focalizzare l’attenzione sulla persona e sulle esigenze profonde che possano portarla -attraverso il luogo che vive- ad un benessere psico-fisico.
Quali sono per te gli elementi e le qualità che uno spazio dovrebbe avere?
Negli anni, progetto dopo progetto ovvero persona dopo persona, sono arrivata alla conclusione che non si può stigmatizzare formalmente lo spazio. Mi spiego meglio: oltre alle caratteristiche di salubrità che rendono gli spazi ameni -quindi la circolazione dell’aria, l’esposizione e la luce naturale, la dimensione degli ambienti a seconda delle funzioni specifiche- ciò che davvero da qualità ad uno spazio è l’equilibrio tra le esigenze quotidiane e quelle “emotive”, la possibilità di ri-trovarsi in un luogo accogliente perché rispecchia un’identità e risponde al proprio stile di vita.
Quale bisogno secondo te spinge una persona a rivolgersi ad un professionista come te? Hai mai notato se esiste una relazione tra la richiesta e particolari momenti di vita di un cliente?
Come ho già anticipato chi decide di rivolgersi ad un professionista che coinvolge il cliente stesso nella progettazione dello spazio attraverso un percorso di analisi dei bisogni, è chi ha già preso consapevolezza della necessità di occuparsi di sé prima ancora che della casa. Che sia per una ristrutturazione ex novo di un appartamento in cui ancora non si è vissuto o la trasformazione dello spazio in cui già si vive, l’esigenza prioritaria è cercare un supporto, una guida per affrontare un cambiamento: la casa diventa un pretesto per focalizzare l’attenzione sul proprio stile di vita, sulle abitudini che si ha voglia di cambiare, sui desideri profondi e sulle emozioni, sulla propria identità, nel qui ed ora, che attraverso la forma sostanziata della casa possa esprimersi.
Quali sono gli aspetti del cliente che ti incuriosiscono e ti guidano nella proposta da fare?
Prima di arrivare alla formalizzazione di un vero e proprio progetto architettonico costruisco una relazione di fiducia, attraverso la conoscenza reciproca: sono sempre molto chiara sin da subito sulla necessità che il cliente stesso abbia una parte attiva nel processo di cambiamento e spiego quali saranno i passaggi che affronteremo insieme e quali strumenti metto a disposizione; allo stesso tempo, attraverso alcune domande mirate, la scelta di immagini evocative, di atmosfere, colori, cerco di conoscere i miei clienti ma, soprattutto, li conduco verso una consapevolezza che, spesso, li stupisce perché stravolge un’immagine diversa da quella che hanno di sé. E’ anche un percorso di liberazione da una forma che fino a quel momento può essere stata una difesa, un contenitore rassicurante ma non più rispondente alla propria identità, oggi. La proposta progettuale nasce così dal cliente stesso di cui io interpreto i desideri attuali e le necessità: senza rendersene conto il vero artefice è proprio il cliente al quale offro degli strumenti per mettere in luce quanto ha già dentro.
In che modo l’idea che tu hai in mente si incontra con quella del cliente?
Al primo sopralluogo in un appartamento mi faccio raccontare quali sono le difficoltà che si incontrano oggi in casa, quali sono le zone preferite e quelle percepite come disfunzionali; successivamente approfondisco la relazione tra stile di vita ed ambiti, invito a fare luce sulle “zone oscure”, metaforiche e spaziali; contemporaneamente costruisco una Visione Ideale di casa, lasciando la possibilità di immaginare e lasciarsi trasportare dalle atmosfere e dai colori evocativi, tralasciando possibili soluzioni relative alla casa. Questo percorso permette a me di entrare nel mondo e nella vita -in parte- dei miei clienti ed a loro di mettersi in contatto con i propri desiderata ma anche con la realtà contingente. E’ un vero e proprio lavoro di squadra attraverso il quale la costruzione dell’idea nasce dal confronto tra il cliente e me: le proposte progettuali sono elaborate in base a specifiche necessità, che io interpreto, e si affinano fino a trovare l’equilibrio e l’armonia tra desideri, funzionalità ed identità nel progetto definitivo.
Il concetto di “ordine” o “disordine” rappresenta qualcosa nel tuo lavoro? Se si, che cosa ne pensi?
Questo è un tema molto delicato perché è davvero relativo, ossia dipende dalla percezione di ognuno. Più che di ordine o disordine a me piace parlare di funzionalità e valorizzazione delle cose: non è la quantità di oggetti a creare disordine ma il modo in cui vengono accumulati, conservati, stipati fino a non sapere cosa si possiede con il rischio di non usarli più. E’ sempre un argomento delicato ed è anche una delle problematiche principali che mi viene proposta: “c’è confusione, disordine, non so dove mettere tutte le mie cose, vorrei che tutto fosse ordinato, etc…”
Nel percorso in cui guido il cliente, la quantità e la qualità degli oggetti hanno un peso importante; attraverso l’analisi del rapporto con “le cose” emergono molti aspetti legati allo stile di vita: gli oggetti -come gli abiti ed altro- sono spesso accumulati riempiendo quelle che io chiamo le “zone oscure”. Nel dover affrontare una ristrutturazione di un appartamento o un trasloco è necessario entrare in quelle zone ed affrontarle con la consapevolezza che gli oggetti rappresentano altro: episodi particolari, viaggi, legami, il passato; gli oggetti possono evocare momenti di vita eppure, occupando spazi -fisici e mentali-, rischiano di diventare vera e propria “zavorra”.
Quando ciò che si possiede è goduto ed ha un effetto benefico sul proprio umore e non pesa sulla gestione della casa ha senso esaltare gli oggetti, vederli, toccarli, usarli: in questo caso organizzo gli spazi affinché questo sia possibile, compatibilmente con i limiti fisici della casa. Se invece entrando nelle “zone oscure” ci si rende conto che quegli oggetti sono simulacro di un’identità che non ci appartiene più, che la quantità di cose è uno scudo che non permette di incontrare e liberare la propria vita oggi, allora è necessario affrontare una selezione importante. Per aiutare i miei clienti ad affrontare questo faticoso lavoro pongo l’accento sul potere della scelta personale per realizzare la Visione ideale di casa e renderla concreta e vivibile.
Ordine e disordine sono quindi relativi ma equilibrio ed armonia nel vivere il proprio habitat domestico sono concetti tangibili ed in un percorso di cambiamento consapevole diventano la meta da raggiungere.
Nel tuo lavoro ti occupi di apportare un cambiamento concreto nella vita delle persone, come ti senti nel farlo?
Soprattutto, sento una enorme responsabilità. L’attenzione che dedico al percorso che facciamo prima di arrivare alla formalizzazione del progetto è necessaria, proprio per entrare in relazione con i miei clienti ed accompagnarli in quello che è un cambiamento concreto ma faticoso, a volte costoso ed è fondamentale che io sia certa di rispettare i “desiderata” ma anche i limiti dei miei clienti, i loro tempi e la forza di affrontare argomenti che potrebbero essere anche troppo difficili. Quindi cerco di entrare in empatia con i clienti per poterli interpretare al meglio rispettando la loro richiesta, senza fare “di più”, senza forzarli. E questo è l’altro aspetto che mi piace dell’approccio che ho scelto: l’empatia, che fa si che senza giudizio io possa conoscere delle realtà diverse dalla mia ed offrirmi come strumento, come guida per un percorso da fare insieme.
Quali reazioni noti nei tuoi clienti alla consegna del lavoro? Ci sono degli episodi che ti va di raccontare?
Poiché il processo per arrivare alla conclusione del lavoro è partecipato, non rivela sorprese immediate: è già attraverso il tempo in cui lavoriamo, fianco a fianco, che i clienti scoprono parti nuove di sé, fino a quel momento, nascoste o che emergono e vengono dichiarate trasformandosi in un modus vivendi finalmente coerente con la propria identità. La casa trasformata assume di conseguenza una nuova formalità spaziale che accoglie chi ci vive in equilibrio ed armonia, rispondendo alle funzioni quotidiane e, soprattutto, alle emozioni ed alle atmosfere che, con consapevolezza ed in pieno contatto con se stessi nel “qui ed ora”, si è arrivati ad esprimere.
Per me la gratificazione più grande è sentire i miei clienti dopo un po’ di mesi ed avere la conferma di quanto la loro casa gli sia vicina e gli corrisponda e, soprattutto, quando mi raccontano di aver compreso quale sia il modo giusto per curarla nel profondo ossia curare se stessi attraverso la casa.
Condivido volentieri un momento particolare del percorso di consulenza: c’è una vera e propria scintilla, un’illuminazione che cambia il punto di vista sulla casa che fino a quel punto si aveva. Questo accade perché, entrando in contatto con i propri bisogni, le fragilità ed i desideri, ci si inizia già a trasformare, cadono dei veli, cambia la prospettiva e la fiducia nella possibilità di essere artefice del cambiamento.
Per me è davvero emozionante vedere come i miei clienti si animino e si illuminino nel percepire la portata rivoluzionante del proprio potere di scelta.
Ogni volta ho la sensazione di essere come una guida di viaggio che conduce a luoghi ancora inesplorati e di cui, insieme al cliente, facciamo la scoperta: capita ogni volta che, in un particolare momento, è come se ci affacciassimo verso un nuovo panorama mozzafiato, bello ed inaspettato, eppure così vicino alla propria identità!
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Fuorisede: in equilibrio continuo tra perdite e nuove conquiste
Il termine “fuorisede” può richiamare alla mente tematiche diverse: quella del viaggio, dell’alternarsi tra due città per mantenere le proprie origini ed investire sul proprio futuro; quella della libertà e della miriade di nuove opportunità a disposizione; quella del caos e dello smarrimento dato dal trovarsi catapultati in un posto nuovo con nuove regole e richieste; quella della responsabilità che improvvisamente si è costretti ad assumersi per far fronte agli obblighi del percorso di studi e della vita quotidiana; quella della ricerca di sé, frutto delle sfide quotidiane che questo cambiamento impone e dal confronto con i propri limiti e possibilità.
Trasferirsi in una nuova città per intraprendere un percorso di studi, è una scelta complessa, che porta con sé, in misura diversa per ciascuno, tutti questi aspetti e forse anche altri. Si tratta di una decisione importante, dettata dalla mancanza nel proprio paese, di possibilità adeguate a soddisfare i propri desideri, o dalla costatazione che sia l’unica reale alternativa per costruirsi un futuro o dalla necessità di allontanarsi da casa, dagli obblighi e dalle pressioni del proprio contesto di appartenenza, per sentirsi liberi di vivere la propria vita.
Al di là di quale motivazione ci sia alla base, diventare studente fuorisede implica una serie di cambiamenti, sia interni che esterni, che rendono questa condizione molto delicata.
Scegliere di cambiare città comporta dunque il doversi confrontare con temi importanti, come la separazione dai familiari e dagli amici, la realizzazione di sé, lo sviluppo di una propria indipendenza e, la sua contro parte, la capacità di affrontare il senso di solitudine. Il trasferimento, anche quando, nel migliore dei casi, è sostenuto dalle persone care e da una forte motivazione, viene affrontato con vissuti contrastanti che possono essere ricondotti al “dolore della perdita di ciò che si lascia e la speranza-fiducia di ciò che si acquista” (Scabini, Cigoli, 2000). Molto spesso si lascia prevalere uno dei due aspetti, dedicando tutte le energie nella costruzione della nuova vita o dando spazio esclusivamente ai sentimenti legati al distacco. Si tratta di due comportamenti che escludono vicendevolmente il passato o il futuro e che possono, in modo diverso, comportare dei disagi.
Un rischio a cui molte volte si va incontro, è quello di facilitare la separazione negando l’intensità del legame con le proprie radici, cambiando bruscamente la qualità della relazione con le persone di riferimento, procurando così, una frattura nei processi di appartenenza al nucleo familiare. La distanza fisica può, dunque, affiancarsi ad un allontanamento interiore, che spesso si realizza fingendo, a se stessi e agli altri, una completa autonomia nell’affrontare e gestire al meglio ogni situazione, senza aver bisogno di nessuno. In realtà questo atteggiamento nasconde una profonda fragilità che può venir fuori in forme diverse.
Meno celata, invece, la sofferenza di chi vive il trasferimento nel solo aspetto del distacco. I sentimenti suscitati dalla perdita della “vita precedente” non permettono di intravedere quanto si possa ricevere dall’esperienza che si sta vivendo nel presente.
La mancanza dei propri affetti può minare la capacità di ricostruirsi una quotidianità senza la presenza dei propri punti fermi. Inoltre può essere difficile apportare dei cambiamenti a livello personale per rispondere alle richieste di questo fase di vita. Potrebbe essere necessario assumersi delle responsabilità che fino a quel momento erano viste come lontane e la capacità di essere autonomi, di “riuscire a farcela da soli”, dovrebbe subire un rapido sviluppo. Affrettare i tempi dei consueti passaggi evolutivi può, però, non essere una scelta possibile in quel momento perché percepita come prematura. Tutto ciò rende faticoso l’inserimento nel nuovo contesto e le richieste dettate dal trasferimento possono essere vissute come troppo difficili. Gli ostacoli incontrati, talvolta, comportano la messa in discussione della scelta fatta ed anche delle proprie capacità.
Gli studenti si trovano, quindi, a vivere un momento molto complesso della propria vita, in cui è indispensabile riuscire a tenere insieme passato, presente e futuro.
Dare spazio ai propri vissuti, può facilitare il processo di adattamento alla nuova realtà. In particolare potrebbe essere utile esplorare le proprie paure ed i propri conflitti per affrontare il cambiamento con maggiore consapevolezza. Anche cercare di mantenere una continuità tra le esperienze passate e quelle attuali può aiutare a concentrarsi meno sulle differenze e maggiormente sui propri desideri ed i propri bisogni. Ad esempio può essere utile continuare ad alimentare le proprie passioni o conservare alcune abitudini personali.
Si tratta sicuramente di un momento molto delicato, in cui desideri e paure si alternano costantemente. Averli chiari e saperli distinguere, può aiutare a vivere il cambiamento non come una minaccia ma come un’occasione di crescita, in cui poter scoprire risorse personali e nuovi bisogni.
Bibliografia
Scabini E., Cigoli V. (2000). Il famigliare. Legami, simboli e transizioni. Milano: Raffaello Cortina.
Bowen M. (1979). Dalla famiglia all’individuo. Roma: Astrolabio.