Buon Abitare: equilibrio di spazi. Intervista a Laura Di Stefano
“Qui è ieri, è ora, è sempre. E’ la storia di un luogo e di ciò che vi è accaduto nel corso di centinaia di migliaia di anni (…)”
– Qui – Richard Mcguire
“Sentirsi a casa” è un’espressione molto comune, utilizzata per definire una situazione in cui ci si sente comodi, perfettamente a proprio agio.
Proviamo a rifletterci su. A cosa fa riferimento questo modo di dire?
All’avere un posto che ci racconta? Che ci contiene? Che ci ospita? Un luogo in cui troviamo tutto ciò di cui abbiamo bisogno?
Lo spazio che abitiamo ci rappresenta, parla di noi, è il luogo in cui manifestiamo degli aspetti del nostro essere ecc..
Vi è certamente una relazione di reciprocità tra l’ambiente e l’individuo: il luogo fisico in cui si è immersi modifica e risuona nell’essere umano, così come l’essere umano co-costruisce e determina il proprio ambiente. La modalità in cui questa “relazione” si articola, può avere differenti esiti nell’individuo, in termini di una maggiore o minore sensazione di benessere personale.
In quale modo l’Architetto, nello svolgimento della sua professione, riesce a coniugare e a tenere insieme le caratteristiche fisiche dello spazio, con gli aspetti interni e i bisogni del singolo individuo?
Ne abbiamo parlato con l’Architetto Laura Di Stefano, che nella sua professione si occupa di Consulenza e Progettazione degli Spazi per un Habitat in Equilbrio, e lo fa proprio partendo dall’individuo e dalle sue abitudini e caratteristiche, provando ad integrare e tenere insieme bisogno di trasformazione con quello di stabilità e conservazione, per giungere alla co-costruzione di uno spazio funzionale ed in linea con i propri bisogni: “cambiare le cose iniziando dalle case” RI.SPAZIO.
Per saperne di più, clicca su rispazio.wordpress.com
In cosa consiste il tuo lavoro e come è nata questa idea?
L’idea di RI.SPAZIO è cresciuta e si è definita grazie ai miei stessi clienti: lavorare per progettare un habitat “su misura” mi ha portato ad andare oltre la forma dello spazio per poter individuare quali sono le esigenze profonde da cui nasce il desiderio di trasformazione. Ogni persona è diversa ed ha quindi delle istanze uniche, legate allo stile di vita, alle funzioni che la casa deve poter accogliere ma anche profondamente connesse al senso di CASA, a cosa rappresenta metaforicamente, a quali sono i significati quasi ancestrali che ognuno ricerca nello spazio domestico.
Il percorso necessario per far emergere una Visione del proprio spazio è quindi principalmente basato sull’ascolto, che è guidato da me per individuare tanto i desideri ideali quanto le esigenze pratiche legate al quotidiano, indagando le contraddizioni tra un’immagine -a volte preconcetta- e la propria realtà di vita, nel qui ed ora.
Cosa ti piace del tuo lavoro e quali difficoltà percepisci?
Del mio lavoro sopra ogni cosa mi entusiasma la possibilità di creare una vera e propria relazione di aiuto: chi si rivolge a me è consapevole che la mia offerta non sarà esclusivamente tecnico-progettuale. I miei clienti arrivano pronti per affrontare un percorso che li vede coinvolti ed attivi perché cercano un cambiamento profondo che nella casa, anzi, attraverso la casa possa aiutarli a trasformare abitudini che ritengono malsane o che non vogliono più perpetrare e desiderano trovare armonia ed accoglienza nel proprio habitat domestico.
Per quanto però ognuno si ritenga pronto ad affrontare il cambiamento si ritrova poi a dover intraprendere un percorso faticoso ed, a volte, stravolgente; la maggior parte delle volte la difficoltà più grande sta nel passare dal teorico al pratico: le intenzioni sono le migliori ma quando è necessario trovare un tempo “in più” per svolgere determinati compiti (che io assegno!) ci si ritrova immediatamente a dover cambiare le proprie abitudini. In qualche modo la mia richiesta è quella di iniziare a dedicare del tempo a se stessi attraverso gli spazi di casa e prendere contatto profondo soprattutto con le zone disfunzionali -le “zone oscure”.
E’ un impegno e richiede un tempo che va trovato rinunciando ad altro; spesso i miei clienti fanno resistenza dicendomi che “non hanno tempo”: il modo in cui cerco di far superare questa che spesso è una difesa è sottolineare che la scelta del cambiamento è già stata fatta per un’esigenza urgente e per poter arrivare alla meta è necessario dedicarsi del tempo, diverso e nuovo, per innescare un meccanismo virtuoso.
Cosa significa per te abitare uno spazio?
Su questa domanda si potrebbe dialogare per giorni, viste le molteplici interpretazioni che si possono dare alla parola “abitare”. Il significato che però più corrisponde al mio approccio professionale e progettuale è l’abitare in quanto essere presenti in un luogo consapevolmente, con la capacità di vederlo -e non solo guardarlo-, viverlo -e non solo “usarlo”. Aggiungo che abitare in modo sano significa vivere in armonia ed equilibrio tra luogo, corpo, mente ed emozioni: questo è il motivo per cui per me è imprescindibile nella progettazione di uno spazio architettonico focalizzare l’attenzione sulla persona e sulle esigenze profonde che possano portarla -attraverso il luogo che vive- ad un benessere psico-fisico.
Quali sono per te gli elementi e le qualità che uno spazio dovrebbe avere?
Negli anni, progetto dopo progetto ovvero persona dopo persona, sono arrivata alla conclusione che non si può stigmatizzare formalmente lo spazio. Mi spiego meglio: oltre alle caratteristiche di salubrità che rendono gli spazi ameni -quindi la circolazione dell’aria, l’esposizione e la luce naturale, la dimensione degli ambienti a seconda delle funzioni specifiche- ciò che davvero da qualità ad uno spazio è l’equilibrio tra le esigenze quotidiane e quelle “emotive”, la possibilità di ri-trovarsi in un luogo accogliente perché rispecchia un’identità e risponde al proprio stile di vita.
Quale bisogno secondo te spinge una persona a rivolgersi ad un professionista come te? Hai mai notato se esiste una relazione tra la richiesta e particolari momenti di vita di un cliente?
Come ho già anticipato chi decide di rivolgersi ad un professionista che coinvolge il cliente stesso nella progettazione dello spazio attraverso un percorso di analisi dei bisogni, è chi ha già preso consapevolezza della necessità di occuparsi di sé prima ancora che della casa. Che sia per una ristrutturazione ex novo di un appartamento in cui ancora non si è vissuto o la trasformazione dello spazio in cui già si vive, l’esigenza prioritaria è cercare un supporto, una guida per affrontare un cambiamento: la casa diventa un pretesto per focalizzare l’attenzione sul proprio stile di vita, sulle abitudini che si ha voglia di cambiare, sui desideri profondi e sulle emozioni, sulla propria identità, nel qui ed ora, che attraverso la forma sostanziata della casa possa esprimersi.
Quali sono gli aspetti del cliente che ti incuriosiscono e ti guidano nella proposta da fare?
Prima di arrivare alla formalizzazione di un vero e proprio progetto architettonico costruisco una relazione di fiducia, attraverso la conoscenza reciproca: sono sempre molto chiara sin da subito sulla necessità che il cliente stesso abbia una parte attiva nel processo di cambiamento e spiego quali saranno i passaggi che affronteremo insieme e quali strumenti metto a disposizione; allo stesso tempo, attraverso alcune domande mirate, la scelta di immagini evocative, di atmosfere, colori, cerco di conoscere i miei clienti ma, soprattutto, li conduco verso una consapevolezza che, spesso, li stupisce perché stravolge un’immagine diversa da quella che hanno di sé. E’ anche un percorso di liberazione da una forma che fino a quel momento può essere stata una difesa, un contenitore rassicurante ma non più rispondente alla propria identità, oggi. La proposta progettuale nasce così dal cliente stesso di cui io interpreto i desideri attuali e le necessità: senza rendersene conto il vero artefice è proprio il cliente al quale offro degli strumenti per mettere in luce quanto ha già dentro.
In che modo l’idea che tu hai in mente si incontra con quella del cliente?
Al primo sopralluogo in un appartamento mi faccio raccontare quali sono le difficoltà che si incontrano oggi in casa, quali sono le zone preferite e quelle percepite come disfunzionali; successivamente approfondisco la relazione tra stile di vita ed ambiti, invito a fare luce sulle “zone oscure”, metaforiche e spaziali; contemporaneamente costruisco una Visione Ideale di casa, lasciando la possibilità di immaginare e lasciarsi trasportare dalle atmosfere e dai colori evocativi, tralasciando possibili soluzioni relative alla casa. Questo percorso permette a me di entrare nel mondo e nella vita -in parte- dei miei clienti ed a loro di mettersi in contatto con i propri desiderata ma anche con la realtà contingente. E’ un vero e proprio lavoro di squadra attraverso il quale la costruzione dell’idea nasce dal confronto tra il cliente e me: le proposte progettuali sono elaborate in base a specifiche necessità, che io interpreto, e si affinano fino a trovare l’equilibrio e l’armonia tra desideri, funzionalità ed identità nel progetto definitivo.
Il concetto di “ordine” o “disordine” rappresenta qualcosa nel tuo lavoro? Se si, che cosa ne pensi?
Questo è un tema molto delicato perché è davvero relativo, ossia dipende dalla percezione di ognuno. Più che di ordine o disordine a me piace parlare di funzionalità e valorizzazione delle cose: non è la quantità di oggetti a creare disordine ma il modo in cui vengono accumulati, conservati, stipati fino a non sapere cosa si possiede con il rischio di non usarli più. E’ sempre un argomento delicato ed è anche una delle problematiche principali che mi viene proposta: “c’è confusione, disordine, non so dove mettere tutte le mie cose, vorrei che tutto fosse ordinato, etc…”
Nel percorso in cui guido il cliente, la quantità e la qualità degli oggetti hanno un peso importante; attraverso l’analisi del rapporto con “le cose” emergono molti aspetti legati allo stile di vita: gli oggetti -come gli abiti ed altro- sono spesso accumulati riempiendo quelle che io chiamo le “zone oscure”. Nel dover affrontare una ristrutturazione di un appartamento o un trasloco è necessario entrare in quelle zone ed affrontarle con la consapevolezza che gli oggetti rappresentano altro: episodi particolari, viaggi, legami, il passato; gli oggetti possono evocare momenti di vita eppure, occupando spazi -fisici e mentali-, rischiano di diventare vera e propria “zavorra”.
Quando ciò che si possiede è goduto ed ha un effetto benefico sul proprio umore e non pesa sulla gestione della casa ha senso esaltare gli oggetti, vederli, toccarli, usarli: in questo caso organizzo gli spazi affinché questo sia possibile, compatibilmente con i limiti fisici della casa. Se invece entrando nelle “zone oscure” ci si rende conto che quegli oggetti sono simulacro di un’identità che non ci appartiene più, che la quantità di cose è uno scudo che non permette di incontrare e liberare la propria vita oggi, allora è necessario affrontare una selezione importante. Per aiutare i miei clienti ad affrontare questo faticoso lavoro pongo l’accento sul potere della scelta personale per realizzare la Visione ideale di casa e renderla concreta e vivibile.
Ordine e disordine sono quindi relativi ma equilibrio ed armonia nel vivere il proprio habitat domestico sono concetti tangibili ed in un percorso di cambiamento consapevole diventano la meta da raggiungere.
Nel tuo lavoro ti occupi di apportare un cambiamento concreto nella vita delle persone, come ti senti nel farlo?
Soprattutto, sento una enorme responsabilità. L’attenzione che dedico al percorso che facciamo prima di arrivare alla formalizzazione del progetto è necessaria, proprio per entrare in relazione con i miei clienti ed accompagnarli in quello che è un cambiamento concreto ma faticoso, a volte costoso ed è fondamentale che io sia certa di rispettare i “desiderata” ma anche i limiti dei miei clienti, i loro tempi e la forza di affrontare argomenti che potrebbero essere anche troppo difficili. Quindi cerco di entrare in empatia con i clienti per poterli interpretare al meglio rispettando la loro richiesta, senza fare “di più”, senza forzarli. E questo è l’altro aspetto che mi piace dell’approccio che ho scelto: l’empatia, che fa si che senza giudizio io possa conoscere delle realtà diverse dalla mia ed offrirmi come strumento, come guida per un percorso da fare insieme.
Quali reazioni noti nei tuoi clienti alla consegna del lavoro? Ci sono degli episodi che ti va di raccontare?
Poiché il processo per arrivare alla conclusione del lavoro è partecipato, non rivela sorprese immediate: è già attraverso il tempo in cui lavoriamo, fianco a fianco, che i clienti scoprono parti nuove di sé, fino a quel momento, nascoste o che emergono e vengono dichiarate trasformandosi in un modus vivendi finalmente coerente con la propria identità. La casa trasformata assume di conseguenza una nuova formalità spaziale che accoglie chi ci vive in equilibrio ed armonia, rispondendo alle funzioni quotidiane e, soprattutto, alle emozioni ed alle atmosfere che, con consapevolezza ed in pieno contatto con se stessi nel “qui ed ora”, si è arrivati ad esprimere.
Per me la gratificazione più grande è sentire i miei clienti dopo un po’ di mesi ed avere la conferma di quanto la loro casa gli sia vicina e gli corrisponda e, soprattutto, quando mi raccontano di aver compreso quale sia il modo giusto per curarla nel profondo ossia curare se stessi attraverso la casa.
Condivido volentieri un momento particolare del percorso di consulenza: c’è una vera e propria scintilla, un’illuminazione che cambia il punto di vista sulla casa che fino a quel punto si aveva. Questo accade perché, entrando in contatto con i propri bisogni, le fragilità ed i desideri, ci si inizia già a trasformare, cadono dei veli, cambia la prospettiva e la fiducia nella possibilità di essere artefice del cambiamento.
Per me è davvero emozionante vedere come i miei clienti si animino e si illuminino nel percepire la portata rivoluzionante del proprio potere di scelta.
Ogni volta ho la sensazione di essere come una guida di viaggio che conduce a luoghi ancora inesplorati e di cui, insieme al cliente, facciamo la scoperta: capita ogni volta che, in un particolare momento, è come se ci affacciassimo verso un nuovo panorama mozzafiato, bello ed inaspettato, eppure così vicino alla propria identità!
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La casa tra mondo interno ed esterno. Psicologia dell’abitare.
In psicoterapia, il pensiero sullo “spazio” inteso come luogo in cui si condivide, come “contenitore” ed anche come “cornice”, acquista notevole importanza, proprio perché al suo interno si avvia e prende forma il lavoro terapeutico. Il “luogo che accoglie” diventa, pertanto, il contesto spazio-temporale al cui interno si sviluppa un percorso evolutivo, contenendo e organizzando la relazione tra terapeuta e paziente.
Da ciò, lo “spazio fisico” e lo “spazio interno” si intrecciano, diventano un tutt’uno, permettendo l’espressione ed il contenimento di dinamiche relazionali, cognitive ed emotive.
Anche nelle storie delle persone che incontro in stanza di terapia ci sono spesso riferimenti ai luoghi della loro vita, vicini o lontani, intrisi di ricordi, di comportamenti, di relazioni, insomma…della vita che scorre. Questi luoghi diventano alle volte delle porte di accesso al mondo interno degli esseri umani, alle varie parti del loro Sé, al loro universo relazionale.
Ricordo, in particolare, una stanza con al suo interno una libreria, ritenuta inavvicinabile perché generatrice di ansie, che ha accompagnato l’intero percorso terapeutico di una donna, diventando per lei testimonianza nel reale e, al tempo stesso, metafora, dapprima della sua paura e confusione, della sua difficoltà di accesso ad alcune parti di sé e, successivamente, della sua evoluzione interna, del suo “cambiamento”. Cambiamento che è diventato interno quanto esterno, consentendole in questo caso un accesso “reale” a quella stanza e a quella libreria, per riorganizzarle, abbellirle, ricostruirle, trasformarle in qualcosa di nuovo, naturalmente senza poter prescindere dal materiale originario.
I luoghi sono spesso presenti anche nei sogni che le persone portano.
Ricordo ad esempio un sogno ricorrente di un uomo, in un periodo per lui di importante lavoro su di sé: il contenuto era legato alla improvvisa scoperta della presenza nella sua casa di una “stanza nuova”, grande, mai vista prima. Una stanza che gli era molto utile, ma che non sapeva di avere…
Emerge da questi esempi come l’ambiente esterno, fisico, nel quale siamo immersi e i nostri aspetti interni, mentali, tendano a confondersi. L’ambiente abitativo, porta con sé perlomeno una duplice valenza, da una parte legata al concreto, alle abitudini di vita, al suo essere un oggetto del reale (la cui conquista, inoltre, porta spesso con sé importanti sacrifici)… dall’altra al suo essere entità simbolica, metafora (T. Filighera, A. Micalizzi, 2018).
Questo continuo andirivieni tra interno ed esterno, luoghi fisici e mentali, mi ha indotto a riflettere sulla relazione esistente fra il benessere individuale e l’ambiente abitativo.
Che tipo di rapporto esiste tra l’essere umano e l’ambiente che egli occupa?
Il concetto dell’abitare, non può essere considerato da un punto di vista meramente statico, fisico, in quanto psicologicamente vissuto pertanto dinamico, fluttuante, in movimento. E’ un legame forte quello tra la casa e colui che la abita: l’individuo certamente modifica il suo ambiente in base ai propri vissuti, alle proprie emozioni, ai propri bisogni, ma è innegabile come la qualità dell’ambiente stesso abbia un effetto sull’individuo, in termini di maggiore o minore benessere. Inoltre, nella percezione di un ambiente, la persona non è qualcosa di esterno e scollegato, ma ne è parte integrante, in quanto tra i due esiste una interazione costante (Baroni, 1998).
Chi vive un ambiente, in quel contesto si definisce, esprime e manifesta parti di sé, attitudini, preferenze, stili di vita e ciò conferisce un’identità a quel luogo, in un gioco di rispecchiamenti con l’identità della persona (Proshansky et al, 1983).
Tutti abbiamo bisogno che il nostro spazio parli di noi, ci rappresenti, che racconti i nostri vissuti, le nostre narrazioni individuali e familiari, e ciò ci aiuta nel mantenimento di una dimensione storica personale. L’identità di un luogo è, infatti, strettamente legata ai nostri ricordi, in quanto in essa confluiscono emozioni, relazioni, bisogni psichici, memorie di altri luoghi. Il rapporto positivo con l’ambiente è, dunque, un aspetto importante nell’identità individuale (Baroni, 1998).
L’ambiente domestico è anche un prezioso “contenitore” (De Marco, 2015), in quanto racchiude in sé tutto ciò che al suo interno avviene. Pensiamo un attimo alle dinamiche relazionali di una famiglia: rituali, incontri, saluti e distacchi, festeggiamenti e tristezze. Un flusso relazionale ed emotivo continuo che all’interno della casa, trova spazio, si manifesta.
Altra funzione che l’ambiente domestico svolge, tanto reale quanto simbolica, è quella di definire un “confine” verso l’esterno, verso tutto quello che chiudendo la porta d’ingresso si lascia fuori. Indica un limite tra ciò che si accetta di fare entrare e tutto quello che all’interno di quel confine non trova uno spazio, una collocazione. Questo significa “rifugio”, protezione, luogo in cui soddisfare i propri bisogni di sicurezza e appartenenza. Attraverso l’esperienza abitativa ognuno di noi declina, in base ai propri costrutti, la dicotomia dentro/fuori, accoglienza/chiusura.
Tutti questi aspetti ci suggeriscono come sia importante, per il benessere di una persona, avere un rapporto positivo e soddisfacente con il proprio spazio abitativo.
La psicologia ambientale si occupa proprio di quel particolare rapporto che lega l’individuo al suo spazio fisico: relazione certamente circolare, in cui il luogo fisico in cui si è immersi modifica e condiziona l’essere umano, così come l’essere umano modifica e co-costruisce il proprio ambiente.
Psicologia e architettura, per quanto possano sembrare discipline concettualmente distanti fra di loro, in realtà operano su un terreno di continuità, in quanto gli aspetti fisici, oggettivi dell’abitare, appaiono intrecciati con dinamiche più propriamente psichiche, connesse ad esempio al concetto di “attaccamento”, “appartenenza”, “bisogni personali” , vissuti emotivi che un certo posto evoca, ecc.
Il “buon abitare”, così come la sensazione di benessere personale che si prova nel proprio ambiente, passa anche da un gioco di continuo rispecchiamento, tra gli aspetti oggettivi e concreti della propria casa e le proprie parti di sé.
Nel progettare o anche solo nel fantasticare dei cambiamenti rispetto alla propria casa, sarebbe dunque utile avere in testa oltre ad un modello fisico di riferimento dell’ambiente sul quale si opera, anche un modello di natura “mentale”, con un approccio aperto e multidisciplinare (Arielli, 2003).
Tutto ciò consentirebbe una sensazione di maggiore benessere personale, con l’obiettivo di considerare lo spazio non solo come un ambiente da occupare, ma come un’opportunità per “essere” e sentirsi in armonia.
BIBLIOGRAFIA
- Arielli E. (2003) “Pensiero e Progettazione” Mondadori editore, Milano;
- Baroni M.R. (1998) “Psicologia ambientale” Il Mulino, Bologna
- De Marco S.M. (2015) “Psicologia e architettura: studio multidisciplinare dell’ambiente” Aletti Editore;
- Filighera T., Micalizzi A. (2018) “Psicologia dell’abitare. Marketing, architettura e neuroscienze per lo sviluppo di modelli abitativi” Milano, Franco Angeli.
- Proshansky H.M. et al (1983) “Place-identity: phisical world socialization of the self”, Journal of environmental Psychology, 3, 57/83;
- Robinson S., Pallasmaa J. (2015) “Mind in Architecture: Neuroscience Embodiment, at the future of design” The MIT press, London;
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