
Spazi vuoti – L’arte dell’attesa
Nel mio lavoro da psicoterapeuta mi capita spesso di trovarmi di fronte a situazioni emotivamente cariche di dubbio, di sofferenza, di crisi, che se da una parte richiamano l’idea dell’immobilità, del circolo vizioso che si ripete sempre identico e statico, dall’altra paradossalmente trasmettono il vissuto dell’urgenza del movimento, del bisogno della risoluzione immediata, della necessità del cambiamento.
Questo mi ha portato a ragionare su quanto alle volte possa essere faticoso mettersi in una posizione d’attesa, aspettare i tempi necessari per costruire; mi sono interrogata su quale sia il modo con cui di ognuno di noi nella quotidianità si relaziona con gli “spazi vuoti”.
Ti capita, durante la giornata, di entrare in contatto con dei momenti in cui l’unica cosa da fare è attendere? Come gestisci situazioni di questo tipo? Tendi a riempirle di “azioni”, di tentate soluzioni, di movimento? Oppure ti concedi di avere nella tua mente un angolino adibito a “zona relax” per essere comodo mentre li abiti?
Tutti noi aspettiamo qualcosa. C’è chi aspetta l’autobus per tornare a casa; c’è chi aspetta di sentirsi pronto; c’è chi aspetta una partenza; c’è chi aspetta il confronto con qualcuno; c’è chi aspetta un bambino; c’è chi aspetta di maturare una scelta; c’è chi aspetta che sia qualcun altro a maturarla; c’è chi aspetta che la pasta sia pronta.
E’ quindi evidente come questo discorso possa riguardare molti e diversi aspetti della nostra vita e di conseguenza, essere collocato a differenti livelli.
Racconta della quotidianità, riferendosi al modo in cui viviamo le “pause” tra un’esperienza e l’altra; parla del nostro modo di stare a contatto con la variabile “attesa” quando siamo alle prese con la costruzione di un progetto, ad esempio lavorativo; si riferisce ai vissuti che nascono in noi quando ci muoviamo nelle innumerevoli dinamiche relazionali che sono legate in qualche modo ad una “attesa”. Ma parla anche della fila al supermercato e dell’attesa dal medico.
Quale tipo di vissuto fa capolino dentro di te quando hai a che fare con uno spazio vuoto, che sia il traffico, la durata del viaggio, il tempo che ti separa da qualcosa di importante?
A volte è faticoso essere in un tempo che appare per certi versi “sospeso”, in cui è necessario tollerare vissuti ambivalenti, quote di “ignoto”, di non conosciuto, che vanno a creare realtà in divenire, in costruzione quindi incomplete, spezzettate, come tante tessere di un mosaico ancora da collocare.
Forse anche per questo alcune persone si affannano seguendo un ritmo convulso, dove le cose che si vorrebbero fare diventano molte di più del tempo che poi in realtà si ha a disposizione.
Qualche volta mi è capitato di sentir dire: “ci vorrebbe una giornata più lunga, 24 ore non bastano!”.
Spesso la nostra stessa giornata è articolata all’insegna dell’avere fretta, dell’efficienza immediata, di ritmi frenetici. Un po’ è un costrutto del nostro tempo, in cui “tutto è possibile”, tutto è “disponibile”, tutto è “alla portata di tutti”; per ogni tipo di cosa sembra palesarsi una “soluzione immediata”: un farmaco per dimagrire, un abito nuovo per essere più belli, un messaggio che arriva istantaneamente e ci mostri le sue belle spunte blu… va bene, sappiamo che è stato letto; quali reazioni automatiche fa nascere in noi la condizione di incertezza legata all’attesa della risposta, quell’ignoto che c’è fra noi ed una certezza?
Spesso essere sempre operativi ci fa sentire “efficienti”, “produttivi”, sicuri. Al contrario, attendere ci sembra una grande perdita di tempo!
Alcune volte può capitare che questa idea di fretta, la sensazione di doversi sbrigare, pervada anche aspetti importanti e delicati della nostra vita. Come viviamo quei momenti legati ad esempio, alla relazione con l’altro, quando ci rendiamo conto di avere tempi diversi di gestire un’attività, di programmare un’esperienza o di maturare una scelta?
Non sempre il nostro tempo psicologico coincide con quello dell’altra persona e questa mancata “sincronia” produce, alcune volte, vissuti negativi difficilmente tollerabili.
Ti è mai capitato? Come ti sei comportato? Sei riuscito a tollerare questa “discrepanza” o ti sei lasciato sedurre dalla tentazione di venirne fuori con rapidità?
Certo, il “vivere di corsa” non è necessariamente un problema, ritengo lo possa diventare in alcune situazioni:
nel momento in cui iniziamo a percepire quella modalità come la nostra unica alternativa possibile;
quando sentiamo il bisogno di rallentare, ma non ci riusciamo (pena il fare capolino di vissuti negativi);
quando non riusciamo a concepire la possibilità di velocità differenti rispetto alle diverse situazioni che ci troviamo ad affrontare e rispetto alle differenti fasi della vita.
Sempre all’interno di questa mia riflessione mi domando se non ci sia qualcosa che rischiamo di perdere con questo nostro bisogno di “riempire”.
Perché alcune volte può essere importante “attendere”?
Intanto mi viene in mente che vivere quell’ignoto ci permette di porci delle domande, di attivare una riflessione, sviluppare un pensiero. Consente anche di dare spazio alle nostre intuizioni, personali e creative, che per venire alla luce, necessitano un contatto con i nostri vissuti.
In secondo luogo ci consente di “pregustare” il risultato, di immaginare quanto possa essere prelibato un cibo che stiamo preparando, un progetto che stiamo costruendo, permettendo un confronto con le nostre aspettative, fantasie, tra la quello che accade e i nostri bisogni, e di comprendere eventualmente cosa modificare per sentirci più in armonia con i nostri obiettivi.
Prenderci del tempo permette anche di acquisire un consapevolezza personale sui vissuti difficili che l’attesa stessa genera in noi: cosa sentiamo? Qual è la spinta che ci porta ad agire? Da cosa deriva? Quali sono le nostre paure?
In ultimo, ma certamente non meno importante, agevola l’attivazione del “desiderio”; cos’è che non abbiamo e invece vorremmo? Come fare per ottenerlo? Aspetto questo che è un motore prezioso, che consente una spinta propulsiva in direzione di una vita, certo alcune volte più lenta, ma su misura per noi!
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Psicoterapia familiare
La Psicoterapia familiare è un intervento terapeutico in cui tutti o parte dei membri del nucleo familiare partecipano al trattamento; è particolarmente indicato in una pluralità di situazioni cliniche.
Quando è consigliata la Psicoterapia familiare?
- Uno dei casi è quello in cui il malessere venga espresso da un membro del sistema attraverso un sintomo. La sua difficoltà viene, quindi, analizzata e osservata all’interno del setting di Terapia e diviene spesso la cartina di tornasole dell’organizzazione e della comunicazione all’interno della famiglia;
- Altro caso è quello in cui sia l’intero nucleo familiare a presentare una sofferenza: ad esempio conflittualità, problemi legati alla comunicazione, cambiamenti importanti quali lutti, nascita di figli, trasferimenti o difficoltà legate al ciclo di vita. Qualunque genere di situazione, insomma, possa interferire con il normale processo di sviluppo del nucleo;
- Inoltre, si presenta come un trattamento di elezione nel caso in cui il malessere sia espresso da un soggetto in età evolutiva (infanzia, preadolescenza e adolescenza), in questo caso Il coinvolgimento di tutto il sistema familiare diviene dunque una risorsa molto importante.
Negli anni questo tipo di approccio si è dimostrato molto efficace nella trattamento dei disturbi alimentari, della schizofrenia, del disturbo bipolare, delle vecchie e nuove dipendenze, come ad es. alcolismo, droga, internet e gioco d’azzardo.
Le sedute di norma hanno cadenza quindicinale e vengono condotte da uno o due psicoterapeuti che lavorano in co-terapia.
“C’è una canzone che merita di essere cantata ed è la canzone delle relazioni umane, del legame attraverso il quale le persone si arricchiscono e crescono” – S. Minuchin –
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Sostegno alla Genitorialità
La genitorialità può essere considerata come uno “spazio”, tanto interno quindi “intrapsichico”, quanto “esterno”, relazionale, nel quale entrano in scena una moltitudine di fattori. Alcuni di essi sono “storici”, hanno a che fare con il percorso di vita dei genitori, con il modello di accudimento che ognuno di loro, nella propria famiglia di origine, ha interiorizzato. Altri sono invece “attuali”, legati al momento che ci si trova a vivere, alle situazioni contingenti, spesso mutevoli.
La famiglia è infatti un sistema in costante trasformazione e il concetto stesso di cambiamento ne accompagna il corso. Alcune volte si ha a che fare con delle modificazioni prevedibili, legate alla crescita e alle diverse fasi del ciclo vitale che il nucleo si trova ad affrontare; ne sono un esempio la nascita di un figlio, l’adolescenza, la gestione dei rapporti con contesti extra familiari, come la scuola etc.; insomma, la naturale ristrutturazione dei legami familiari legata allo sviluppo.
Altre volte invece può capitare di avere a che fare con situazioni non prevedibili, inattese, come ad esempio malattie, lutti, separazioni o divorzi.
Perché attivare un percorso di Sostegno alla Genitorialità?
Il rapporto tra i genitori e il figlio, è il contesto principale nel quale si esplica la crescita e lo sviluppo bel bambino, un importante fattore protettivo rispetto alle situazioni avverse e complesse che può capitare di dover affrontare. Non sempre è facile per un genitore, o per una coppia genitoriale, gestire la complessità emotiva, relazionale, comunicativa e comportamentale che caratterizza il rapporto con i proprio figli. Può capitare di trovarsi in impasse, di percepire una dimensione di crisi, di dubbio, di impotenza e di inefficacia personale.
Il percorso di Sostegno alla Genitorialità è un intervento psicologico di accompagnamento per gli adulti che, per motivi diversi, possono vivere delle difficoltà nello svolgimento del proprio ruolo genitoriale. L’obiettivo è quello di supportare i genitori nell’espletamento della loro funzione, di accrescere la consapevolezza dell’importanza del ruolo stesso e di pensare insieme strategie relazionali ed educative maggiormente efficaci, volte ad agevolare una migliore comprensione del figlio, dei suoi comportamenti, dei suoi bisogni e dei suoi vissuti emotivi. È inoltre uno spazio di riflessione su se stessi (nel ruolo di genitore), sui propri vissuti legati alla relazione stessa, e sulle scelte comportamentali ed educative adottate, al fine di attivare le risorse personali e le competenze necessarie a superare il momento di sofferenza o difficoltà.
Il percorso di sostegno alla Genitorialità si articola in una serie di incontri, generalmente quindicinali.